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Ufficio a impatto zero

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Questo articolo è scritto in collaborazione con B-Net, la Business Community che riunisce PMI e imprenditori del territorio Nord-Ovest di Milano.

Verso la transizione ecologica

Lo scorso 30 aprile il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha approvato il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Tra le altre misure, esso prevede lo stanziamento di 60 miliardi di fondi destinati a Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica. Il traguardo finale è rendere il sistema italiano sostenibile nel lungo periodo, focalizzandosi sull’economia circolare e concentrandosi soprattutto su gestione dei rifiuti, bio combustibili, trasporto sostenibile e rinnovamento degli edifici – tramite Ecobonus e Superbonus.


Con queste misure, dunque, la sostenibilità viene posta come uno dei principali e fondamentali pilastri non solo per la ripresa economica del nostro Paese ma anche per il suo sviluppo futuro.
Il PNRR rientra in un piano più ampio, il Next Generation EU, che ha tra gli obiettivi la decarbonizzazione e il raggiungimento di emissioni zero da parte dei paesi europei. Nel piano, tuttavia, sono presenti alcune lacune e aspetti poco chiari, in particolare per quanto riguarda l’utilizzo di idrogeno blu (ricavato da combustibili fossili e perciò non sostenibile) e il contrasto dell’inquinamento atmosferico.

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Sostenibilità in azienda

Una legislazione efficace in materia è senz’altro una condizione indispensabile per avviare pratiche sostenibili su scala nazionale e incentivare a ridurre l’impatto sull’ambiente. Altrettanto importanti sono un cambio di mentalità, una maggiore consapevolezza e la partecipazione di tutta la popolazione. Quindi, cosa possiamo fare noi nel nostro piccolo?

Sia come privati cittadini che, come aziende, possiamo e dobbiamo contribuire, prendendo accorgimenti anche piccoli e modificando le nostre abitudini per renderle più sostenibili. Il punto non è essere perfetti ma iniziare da qualche parte, ridurre il più possibile e prestare attenzione alle proprie scelte e azioni. Per fare ciò è necessario partire dalla propria conoscenza del tema, informarsi, chiedersi quanto davvero sappiamo come quello che facciamo e acquistiamo ha ripercussioni sul pianeta.

Nell’ambito lavorativo il modello a cui tendere è l’ufficio a impatto zero, ossia un luogo di lavoro che mira a ridurre il proprio impatto sull’ambiente sia per quanto riguarda la produzione di rifiuti sia per l’emissione di CO2.

È importante precisare che non è necessario essere una grande multinazionale o possedere quantità di denaro enormi per farlo. Ognuno contribuirà a seconda delle proprie forze e possibilità.
Quando si decide di adottare pratiche volte a migliorare la sostenibilità della propria azienda, risulta di fondamentale importanza sensibilizzare i propri collaboratori sull’argomento. Solo in questo modo essi non vedranno le iniziative come qualcosa di imposto o come un obbligo a cui adattarsi controvoglia, bensì come qualcosa di positivo a cui partecipare con entusiasmo e motivazione.
 
Le azioni che si possono intraprendere rientrano in tre diversi tipi: riduzione di emissioni di CO2riduzione di rifiuti prodotti e riduzione di consumi energetici; la maggior parte di esse sono veramente semplici e si possono adottare anche a casa nella vita quotidiana.

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Raccolta differenziata

La cosa più basilare da fare è la raccolta differenziata: dividere i rifiuti in base ai materiali per permettere poi che vengano smaltiti correttamente non richiede alcuno sforzo. Se si hanno dubbi su dove gettare un determinato oggetto basta controllare sul sito del proprio Comune per trovare tutte le informazioni necessarie. In alternativa esistono anche applicazioni e siti web per fare chiarezza.

Secondo il rapporto “What a Waste 2.0: Un’istantanea globale della gestione dei rifiuti solidi fino al 2050 pubblicato nel 2018 dalla Banca Mondiale, ogni anno si producono globalmente 2 miliardi di tonnellate di rifiuti, con un incremento previsto del 70% entro il 2050,

Secondo i dati ISPRA (che considera però solo i rifiuti domestici) del 2019, l’Italia ha riciclato il 29% dei rifiuti prodotti (carta, plastica, vetro, alluminio e tutto ciò che possiamo recuperare in termini di materia). Di questa percentuale, però, si recupera davvero solo il 79%. Il 21% dei rifiuti totale viene compostato, il 18% finisce in inceneritori e un ulteriore 21% in discarica, infine piccole percentuali rientrano sotto un generico “altro”.

Questi dati non sono affatto positivi e il margine di miglioramento è ancora molto; un semplice paragone con altri paesi europei mostra chiaramente la nostra arretratezza. La situazione in Germania, ad esempio, è la seguente: 50% riciclaggio, 18% compostaggio, 31% inceneritore e solamente 1% discarica.

Ridurre la plastica

Si può poi prestare attenzione ai materiali usati. La plastica, di cui sono fatti molti prodotti da ufficio (penne, raccoglitori, separatori, cestini ecc) andrebbe evitata il più possibile o almeno andrebbe usata quella riciclata e riciclabile. Lo stesso vale per le spedizioni e per il tipo di imballaggi usati: si possono scegliere imballaggi di cartone, scotch di carta, o altri materiali facilmente biodegradabili di cui ormai abbonda il mercato.
Un discorso a parte va fatto per la plastica monouso, cioè quella di bottigliette d’acqua, bicchieri e posate usa e getta, quasi sempre presente durante le pause pranzo. Gli oggetti elencati sono facilmente rimpiazzabili con borracce in alluminio, piatti e posate biodegradabili, di bambù o semplicemente portati da casa.

Il problema della plastica è uno dei più impellenti e preoccupanti per gli ambientalisti. La maggior parte della plastica che non viene riciclata finisce negli oceani: si parla di milioni di tonnellate all’anno, tanto che si stima che nel 2050 nei nostri mari ci sarà più plastica che pesci.

In Italia utilizziamo ogni anno più di 11 miliardi di bottiglie di plastica monouso; al mondo siamo al terzo posto – dopo Messico e Thailandia – e primi in Europa per il consumo di acqua minerale in bottiglie di plastica. Negli ultimi dieci anni la vendita di acqua minerale in bottiglie di plastica è praticamente raddoppiata, arrivando a 10 miliardi l’anno; e meno del 50% viene riciclato. (fonte: Greenpeace)

Per altro, a partire da quest’anno i prodotti in plastica monouso dovrebbero progressivamente sparire dal commercio (posate e piatti in plastica, cannucce, bastoncini di cotone, agitatori per bevande, aste a sostegno dei palloncini, contenitori per alimenti e per bevande in polistirene espanso, tazze per bevande in polistirene espanso) come previsto dalla direttiva UE 2019/904.

Il problema della carta

Considerazioni analoghe valgono per la carta, anche in questo caso l’ideale sarebbe acquistarla riciclata o proveniente da foreste protette (esiste un’apposita certificazione). Un’azione alla portata di tutti, invece, potrebbe essere stampare solo quando veramente necessario, fronte e retro se possibile; in alternativa utilizzare la faccia bianca del foglio per prendere appunti e buttarlo solo quando completamente usato.
La digitalizzazione contribuisce in maniera radicale a ridurre lo spreco di carta: ormai si comunica solo tramite mail e anche i documenti vengono conservati in copia digitale, senza il bisogno di stampare tutto e tenere degli archivi fisici.

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Prodotti elettronici

La trasformazione digitale, però, accresce il problema dei rifiuti derivati dai prodotti elettronici: secondo il rapporto Global E-Waste Monitor 2020 entro il prossimo decennio la quantità totale di questo tipo di rifiuti ammonterà a 74,5 milioni di tonnellate.

(Il rapporto considera rifiuti elettronici quelli derivanti dai computer desktop o laptop fino agli smartphone e ai pezzi di elettrodomestici vari, prendendo in considerazione solo l’elettronica di consumo e non quella di tipo industriale).

Inoltre, nell’Unione Europea si ricicla meno del 40% di tutti i rifiuti elettronici, mentre il resto finisce nell’indifferenziato. Le pratiche di riciclo variano da uno stato membro all’altro. Nel 2017 la Croazia ha riciclato l’81,3% di tutti i rifiuti elettrici ed elettronici, mentre a Malta la percentuale è stata del 20,8%. L’Italia ha registrato una percentuale del 32,1%.


Una possibile soluzione per ridurre l’impatto causato dalla tecnologia è acquistare prodotti rigenerati. Rigenerare significa prendere un oggetto destinato a essere smaltito come rifiuto e, al contrario, fornirgli una seconda vita. Ad esempio, un computer rigenerato è un computer magari un po’ obsoleto a cui vengono sistemate le parti materiali e il software aggiornato. In questo modo si ottiene un prodotto perfettamente funzionante senza però utilizzare nuove materie prime e azzerando l’inquinamento prodotto dalla loro estrazione e lavorazione.

Queste considerazioni valgono anche per stampanti, cartucce e toner. Acquistando rigenerato si risparmia in termini di materie prime utilizzate, emissioni di CO2 derivanti dalla loro estrazione e lavorazione ma anche dal trasporto. Inoltre, si evita di immettere nel mercato nuovi materiali che andrebbero smaltiti in futuro, allungando invece la vita di quelli già presenti. Scegliere cartucce rigenerate, ad esempio, permetterebbe di avere risparmi energetici fino all’80% ed economici anche maggiori del 50%.

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Energia green

Un ulteriore ambito su cui si può intervenire è il consumo energetico.

In questo caso il problema consiste nel ricavare energia elettrica dai combustibili fossili, i quali venendo bruciati permettono il funzionamento delle centrali elettriche, ma producono notevoli quantità di anidride carbonica, altri gas inquinanti e particolati come sostanze di scarto. È possibile, però, passare a fornitori che forniscono “energia green”, ricavata cioè, in parte o totalmente, da fonti rinnovabili: per capire da quale fonte proviene l’energia è sufficiente controllare il mix energetico in bolletta.

Tra le caratteristiche da tenere in considerazione quando si sta valutando un fornitore di energia ci sono:

  • La provenienza dell’energia, cioè se il prodotto è al 100% green
  • La filosofia dell’azienda (storia, valori, progetti e obiettivi concreti), per valutare se davvero si tratta di una realtà attenta alla sostenibilità.
  • Eventuali certificazioni B Corporate
  • Certificazione con Garanzia d’Origine (si tratta di un dato rintracciabile in bolletta che garantisce che l’energia provenga davvero da fonti rinnovabili).

Tra le principali aziende che forniscono energia green ricordiamo EON Italia, Acea Unica, ENEL, Sorgenia, NeN energia e LifeGate.

Risparmio energetico

Oltre a scegliere fornitori green, un altro modo per ridurre l’impatto derivante dal consumo di energetico è risparmiare energia. L’azione più basilare, ovviamente, è spegnere la luce quando non si usa ma anche sfruttare l’illuminazione naturale il più possibile.

Un’ulteriore accortezza da prendere è evitare di lasciare dispositivi elettronici in stand-by quando non li si sta utilizzando: le spie luminose, infatti, consumano energia e inquinano producendo CO2. Spegnere i dispositivi (computer, stampanti, fax ecc) quando si lascia l’ufficio azzera lo spreco e permette anche un risparmio in bolletta.

Si può poi intervenire migliorando l’efficienza energetica di immobili e strumenti elettronici. Il 56% degli edifici in Italia ha una classe energetica molto bassa (G o F). Sostituendo gli impianti obsoleti si otterrebbe una diminuzione delle emissioni ma anche risparmi significativi sulle utenze energetiche; per questi interventi, inoltre, si può ancora usufruire di importanti detrazioni fiscali e agevolazioni grazie a Ecobonus e Superbonus.

Compensare la propria CO2

Anche prendendo tutti gli accorgimenti sopra elencati difficilmente si riuscirà a ridurre a zero l’inquinamento generato, non produrre alcun rifiuto e soprattutto azzerare le emissioni di CO2. 
Qualsiasi processo produttivo inquina e questo vale per tutti i tipi di aziende, non solo per le industrie pesanti e quelle che producono oggetti materiali. Secondo una ricerca della Harvard Business School una singola ricerca in internet genera 7 mg di CO2, così come mandare mail, perciò questo discorso vale anche le aziende di servizi.

Ecco perché, oltre a impegnarsi a ridurre al minimo il proprio impatto, è importante iniziare a pensare anche a come compensarlo. In estrema sintesi, compensare le emissioni di CO2 significa mettere in pratica una serie di azioni che permettono di bilanciare l’anidride carbonica prodotta dalla propria attività portando a (quasi) zero il totale.

Il primo passo da fare è calcolare la propria carbon footprint (si tratta di un parametro che misura le emissioni gas serra causate da un prodotto, da un servizio, da un’organizzazione, da un evento o da un individuo, espresse generalmente in tonnellate di CO2 equivalente). Solitamente il calcolo avviene tramite un metodo scientifico basato sul life cycle assessment.

(Se siete curiosi sul sito di LifeGate è possibile trovare un calcolatore di CO2)

Piantare alberi

Uno dei modi, e al momento uno dei più diffusi, per compensare le emissioni di CO2 è attraverso la piantumazione di alberi, che hanno il potere di assorbire CO2. Sono numerosi ormai i progetti e le aziende (che si rivolgono sia ai privati o che offrono soluzioni pensate per il business) che permettono di piantare alberi, creare o tutelare foreste in tutto il mondo.

Questa soluzione, tuttavia, non deve essere l’unica: non si può pensare che sia sufficiente piantare alberi per combattere il cambiamento climatico, inoltre non deve essere un’alternativa ai cambiamenti dei modelli energetici che sono invece necessari per evitare le emissioni di gas serra, come afferma Jane Flegal, docente presso la School for the Future of Innovation in Society della Arizona State University.

Ogni piccola azione è un passo avanti, soprattutto se sommata ad altre; come consumatori e aziende possiamo modificare le tendenze del mercato e richiedere ai Governi di impegnarsi e attuare politiche di sostenibilità e tutela ambientale.

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I progetti di B-Net

Gli aderenti a B-Net sono convinti che sia indispensabile ripensare completamente il rapporto che abbiamo con l’ambiente, con l’obbiettivo di rendere circolare l’economia: usare sempre meno prodotti nuovi e il cui ciclo si conclude in discarica e, al contrario, privilegiare quelli che possono essere rigenerati ed inseriti nuovamente nel ciclo dei consumi.

L’’idea che le commodities, gli impianti e le attrezzature siano messi a disposizione in uso anziché in proprietà con canone ominacomprensivo di uso, manutenzione, assicurazione e consumi, con recupero dell’oggetto a fine ciclo per la sua rigenerazione, è la vera svolta, con tutte le ripercussioni sul Retail che vedrà non più rivenditori ma noleggiatori.

B-net, nell’ambito di un percorso graduale ha avviato come prima iniziativa la raccolta comune fra gli aderenti della carta con Certificazione del Recupero: da Gennaio 2021 abbiamo raccolto circa 21 tonnellate al mese.

Un piccolo primo passo verso un futuro più sostenibile.


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